mercoledì 2 dicembre 2015

LA RIFORMA DEI PORTI ARRANCA ?

Il primo luglio del 2014 abbiamo iniziato l'attività di questo blog, il dibattito nazionale sulla Riforma dei porti era aperto da più di dieci anni. Ce ne siamo occupati quasi subito e il 7 agosto di un anno fa abbiamo pubblicato già un post riassuntivo sulla Riforma che all'epoca si fregiava della denominazione SBLOCCA PORTI. Ricordate ?


Un paio di giorni fa The Meditelegraph ( che non è un quotidiano britannico ma una testata online di shipping e logistica intermodale collegata al quotidiano di Genova SECOLO XIX ) ha pubblicato l'aggiornamento del decreto Delrio sulla riforma della portualità italiana. Testo che poi abbiamo trovato scaricabile dalla rete.

Non pensiamo di schierarci a favore o contro la riforma, o questa versione di riforma, il nostro principale problema è di comprendere e quindi informare sui reali contenuti e sulle ricadute di certe scelte. E' difficile fissare un testo chiaro sul quale formarsi una opinione perchè questa riforma è un puzzle......


.... ma anche perchè sono ricominciate le manovre " politiche ", seguiteci in questa veloce rassegna stampa:




Genova - Ora in campo scende anche la presidenza del Consiglio. Lo staff di Renzi vorrebbe vederci chiaro e avrebbe già deciso di preparare una serie di tavoli di confronto: da una parte i dirigenti del ministero guidato da Graziano Delrio, guidati dal capo dell’ufficio legislativo Elisa Grande. Dall’altro gli uomini di Renzi. Il premier avrebbe schierato anche Antonella Manzione, la donna forte di Palazzo Chigi, fidatissima del premier, mentre la regia dell’operazione, visto il momento politico delicato, è di Luca Lotti, il sottosegretario braccio destro del presidente. Nei giorni scorsi Renzi avrebbe cominciato a chiedere informazioni più approfondite sulla riforma dei porti, preoccupato dalle polemiche scaturite in seguito alla pubblicazione della bozza del decreto.

Da Savona, passando per Salerno, Messina, ma anche in Puglia, i porti sono in rivolta per l’enorme differenza di peso tra Autorithy di sistema e Direzione di scalo: la prima gestisce tutto, anche le concessioni degli altri porti, la seconda dovrebbe eseguire gli ordini. Anche la durata del mandata viene giudicata troppo ridotta. E la questione da tecnica è diventata politica, perchè le elezioni amministrative sono alle porte e Renzi non ci vuole arrivare con un altro fronte aperto. Un tentativo ulteriore di limatura del decreto ci sarà oggi con Assoporti, l’associazione degli scali italiani. L’opera di confronto è solo all’inizio, ma il rischio è che la riforma a questo punto vada per le lunghe e che non venga presentata poi così presto. L’altro tema sul tavolo è proprio la tenuta del sistema: con le Authority tutte commissariate e senza riforma all’orizzonte, il rischio è la paralisi dei porti.

Intanto ieri l’Antitrust ha bocciato l’autonomia finanziaria oggi esistente. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha rilevato «criticità concorrenziali»: quel fondo dell’1% di Iva da restituire ai porti per un massimo di 90 milioni, secondo l’Antitrust non premia la concorrenza. Anzi, l’Authority insiste, scrivendo al ministero dei trasporti e a quello dell’economia, che i criteri devono cambiare e serve: «criterio di ripartizione di fondi non già esclusivamente sull’Iva, ma anche su altre variabili relative all’effettiva incidenza del traffico complessivo di ciascun porto rispetto al traffico dell’intera portualità nazionale e alla sua evoluzione nel corso del tempo».



Messina

L’originale stesura prevedeva la riduzione a sole 8 Autorità

L’incoerenza e le menzogne del Piano Hanno voluto favorire le lobby dei territori
Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. E quelle della riforma della portualità italiana sono contrassegnate da tanti “sassolini” quanto sono le contraddizioni, le ipocrisie e le menzogne sentite in tutti questi mesi. Proviamo a smascherarne qualcuna.

Gli accorpamenti.

Due gli obiettivi strategici del Piano nazionale: il rafforzamento dei sistemi portuali italiani per rispondere alle sfide della concorrenza internazionale e la “spending review”, cioè la razionalizzazione dei costi. Sono troppe 24 Autorità portuali, nessun altro Paese europeo ne ha tante. Ragionamento che non fa una grinza. Ma se si fosse davvero voluto realizzare questo primo obiettivo, allora sarebbe stato meglio tenere in vita la prima stesura del Piano, quella che tagliava drasticamente il numero delle Autorità, riducendolo da 24 a 8. Sarebbe nato un grande sistema portuale Trieste-Venezia, uno Genova-Savona-La Spezia, un altro Ancona-Ravenna, e poi la Puglia, la Sardegna, la Sicilia, il Tirreno centrale e quello meridionale. Ma non ci credeva nessuno a questa soluzione, viste le spinte politiche di territori molto influenti nei confronti del Governo e del Parlamento. Si sono messi in moto lobby e deputazioni, la grande riforma è stata messa in soffitta.

L’incoerenza del Piano.

Ed ecco, dunque, nascere una nuova bozza, che l’ex ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha poi consegnato nelle mani del suo successore, Graziano Delrio. Per mesi il numero delle Autorià è andato oscillando, ora 14, poi 12, poi 15, poi di nuovo 14. Il Piano apparentemente sembra essere rimasto più o meno simile, nelle linee strategiche, ma le scelte concrete, poi, dimostrano l’assoluta incoerenza rispetto agli obiettivi di partenza. La Liguria, regione molto più piccola della Sicilia, avrà due Autorità di sistema, perché nessuno avrebbe mai potuto scontentare la grande lobby armatoriale concentrata sul porto di La Spezia che ha inglobato “stranamente” la toscana Marina di Carrara. Genova è rimasta capofila del sistema Mar Ligure Occidentale di cui fa parte anche Savona. 

Ma è nella parte dell’Adriatico che si è consumato il vero “delitto” alla coerenza del Piano: lì si sono mantenute di fatto tutte le Autorità portuali, che vanno ognuna per conto proprio, Trieste, Venezia, Ancona, Ravenna. E non si dica che sia stato scelto il criterio di un’Authority per ogni Regione, perché non è vero, come dimostra il caso ligure.

Chi ci perde.

A rimetterci sono due realtà territoriali in particolare. Salerno perché schiacciata dalla concorrenza di Napoli e non solo e non tanto la città di Messina, quanto l’intera Area dello Stretto. Non è stata riconosciuta la specificità di una porzione di territorio che, tra Sicilia e Calabria, assume le sembianze, le dimensioni, il ruolo strategico di una vera e propria “micro-Regione”. Lo Stretto viene smembrato, Reggio e Villa vanno con Gioia Tauro, Messina con Augusta e Catania. In quest’ottica, fare di Messina la sede dell’Autorità di sistema avrebbe un senso, oltre che basato sulla forza dei numeri dei traffici merci e passeggeri, anche dal punto di vista geopolitico e strategico: Messina è il “ponte” che unisce i due sistemi, quello della Sicilia Orientale e quello calabrese di Gioia Tauro.

Come Piombino....

Essere trattati alla stregua di una località come Piombino (con tutto il rispetto per la graziosissima città toscana, che ha 34 mila abitanti!!!), è mortificante. E sarebbe davvero scandaloso accettare supinamente il fatto che, ridotta Messina a Direzione di scalo portuale, le sorti di porzioni cruciali per il nostro territorio, come la Zona falcata, vengano decise ad Augusta. Ma ci rendiamo conto di quanto sta accadendo? Vogliamo rassegnarci o lottare fino alla fine? E soprattutto, ci sono ancora margini per rimediare all’errore?(l.d.)

E PER CONCLUDERE L'OTTIMO CAROCCI 

Genova è comunque in buona compagnia. L’immobilismo della politica ha comportato il fallimento del porto di Napoli, da anni gestito sempre peggio da commissari di tutti i generi, ammiragli in pensione neppure in grado di far pagare le concessioni a operatori che ovunque non potrebbero lavorare. A Taranto il porto è sostanzialmente chiuso e senza alcuna reale prospettiva, ma il governo finanzia una inutile “piastra logistica” da oltre 200 milioni. La parola d’ordine è commissariamento. 
E dove non si può, come nel caso di Ravenna, il ministro Delrio s’inventa l’escamotage di una “cabina di regia” per sbloccare il piano di sviluppo e individuare soluzioni che sono già ben conosciute da anni. Anche perché, poco più a nord, l’attivissimo Paolo Costa continua a proporre il suo improbabile terminal offshore al largo di Venezia. 

Mentre la governatrice Debora Serracchiani riesuma il progetto di un terminal container a Monfalcone, naufragato solo pochi anni fa. E intanto la lobby meridionalista che fa capo a Delrio guarda a Tunisi e non a Monaco. Un delirio.


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