Un paio di giorni fa The Meditelegraph ( che non è un quotidiano britannico ma una testata online di shipping e logistica intermodale collegata al quotidiano di Genova SECOLO XIX ) ha pubblicato l'aggiornamento del decreto Delrio sulla riforma della portualità italiana. Testo che poi abbiamo trovato scaricabile dalla rete.
Non pensiamo di schierarci a favore o contro la riforma, o questa versione di riforma, il nostro principale problema è di comprendere e quindi informare sui reali contenuti e sulle ricadute di certe scelte. E' difficile fissare un testo chiaro sul quale formarsi una opinione perchè questa riforma è un puzzle......
.... ma anche perchè sono ricominciate le manovre " politiche ", seguiteci in questa veloce rassegna stampa:
Genova - Ora in campo scende anche la presidenza del
Consiglio. Lo staff di Renzi vorrebbe vederci chiaro e avrebbe già deciso di
preparare una serie di tavoli di confronto: da una parte i dirigenti del
ministero guidato da Graziano Delrio, guidati dal capo dell’ufficio legislativo
Elisa Grande. Dall’altro gli uomini di Renzi. Il premier avrebbe schierato
anche Antonella Manzione, la donna forte di Palazzo Chigi, fidatissima del
premier, mentre la regia dell’operazione, visto il momento politico delicato, è
di Luca Lotti, il sottosegretario braccio destro del presidente. Nei giorni
scorsi Renzi avrebbe cominciato a chiedere informazioni più approfondite sulla
riforma dei porti, preoccupato dalle polemiche scaturite in seguito alla
pubblicazione della bozza del decreto.
Da Savona, passando per Salerno, Messina, ma anche in
Puglia, i porti sono in rivolta per l’enorme differenza di peso tra Autorithy
di sistema e Direzione di scalo: la prima gestisce tutto, anche le concessioni
degli altri porti, la seconda dovrebbe eseguire gli ordini. Anche la durata del
mandata viene giudicata troppo ridotta. E la questione da tecnica è diventata
politica, perchè le elezioni amministrative sono alle porte e Renzi non ci
vuole arrivare con un altro fronte aperto. Un tentativo ulteriore di limatura
del decreto ci sarà oggi con Assoporti, l’associazione degli scali italiani.
L’opera di confronto è solo all’inizio, ma il rischio è che la riforma a questo
punto vada per le lunghe e che non venga presentata poi così presto. L’altro
tema sul tavolo è proprio la tenuta del sistema: con le Authority tutte
commissariate e senza riforma all’orizzonte, il rischio è la paralisi dei
porti.
Intanto ieri l’Antitrust ha bocciato l’autonomia finanziaria
oggi esistente. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha rilevato
«criticità concorrenziali»: quel fondo dell’1% di Iva da restituire ai porti
per un massimo di 90 milioni, secondo l’Antitrust non premia la concorrenza.
Anzi, l’Authority insiste, scrivendo al ministero dei trasporti e a quello
dell’economia, che i criteri devono cambiare e serve: «criterio di ripartizione
di fondi non già esclusivamente sull’Iva, ma anche su altre variabili relative
all’effettiva incidenza del traffico complessivo di ciascun porto rispetto al
traffico dell’intera portualità nazionale e alla sua evoluzione nel corso del
tempo».
Messina
L’originale stesura prevedeva la riduzione a sole 8 Autorità
L’incoerenza e le menzogne del Piano Hanno voluto favorire
le lobby dei territori
Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. E
quelle della riforma della portualità italiana sono contrassegnate da tanti
“sassolini” quanto sono le contraddizioni, le ipocrisie e le menzogne sentite
in tutti questi mesi. Proviamo a smascherarne qualcuna.
Gli accorpamenti.
Due gli obiettivi strategici del Piano nazionale: il
rafforzamento dei sistemi portuali italiani per rispondere alle sfide della
concorrenza internazionale e la “spending review”, cioè la razionalizzazione
dei costi. Sono troppe 24 Autorità portuali, nessun altro Paese europeo ne ha
tante. Ragionamento che non fa una grinza. Ma se si fosse davvero voluto
realizzare questo primo obiettivo, allora sarebbe stato meglio tenere in vita
la prima stesura del Piano, quella che tagliava drasticamente il numero delle
Autorità, riducendolo da 24 a 8. Sarebbe nato un grande sistema portuale
Trieste-Venezia, uno Genova-Savona-La Spezia, un altro Ancona-Ravenna, e poi la
Puglia, la Sardegna, la Sicilia, il Tirreno centrale e quello meridionale. Ma
non ci credeva nessuno a questa soluzione, viste le spinte politiche di
territori molto influenti nei confronti del Governo e del Parlamento. Si sono
messi in moto lobby e deputazioni, la grande riforma è stata messa in soffitta.
L’incoerenza del Piano.
Ed ecco, dunque, nascere una nuova bozza, che l’ex ministro
dei Trasporti e delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha poi consegnato nelle mani
del suo successore, Graziano Delrio. Per mesi il numero delle Autorià è andato
oscillando, ora 14, poi 12, poi 15, poi di nuovo 14. Il Piano apparentemente
sembra essere rimasto più o meno simile, nelle linee strategiche, ma le scelte
concrete, poi, dimostrano l’assoluta incoerenza rispetto agli obiettivi di
partenza. La Liguria, regione molto più piccola della Sicilia, avrà due
Autorità di sistema, perché nessuno avrebbe mai potuto scontentare la grande
lobby armatoriale concentrata sul porto di La Spezia che ha inglobato
“stranamente” la toscana Marina di Carrara. Genova è rimasta capofila del
sistema Mar Ligure Occidentale di cui fa parte anche Savona.
Ma è nella parte
dell’Adriatico che si è consumato il vero “delitto” alla coerenza del Piano: lì
si sono mantenute di fatto tutte le Autorità portuali, che vanno ognuna per
conto proprio, Trieste, Venezia, Ancona, Ravenna. E non si dica che sia stato
scelto il criterio di un’Authority per ogni Regione, perché non è vero, come
dimostra il caso ligure.
Chi ci perde.
A rimetterci sono due realtà territoriali in particolare.
Salerno perché schiacciata dalla concorrenza di Napoli e non solo e non tanto
la città di Messina, quanto l’intera Area dello Stretto. Non è stata
riconosciuta la specificità di una porzione di territorio che, tra Sicilia e
Calabria, assume le sembianze, le dimensioni, il ruolo strategico di una vera e
propria “micro-Regione”. Lo Stretto viene smembrato, Reggio e Villa vanno con
Gioia Tauro, Messina con Augusta e Catania. In quest’ottica, fare di Messina la
sede dell’Autorità di sistema avrebbe un senso, oltre che basato sulla forza
dei numeri dei traffici merci e passeggeri, anche dal punto di vista
geopolitico e strategico: Messina è il “ponte” che unisce i due sistemi, quello
della Sicilia Orientale e quello calabrese di Gioia Tauro.
Come Piombino....
Essere trattati alla stregua di una località come Piombino
(con tutto il rispetto per la graziosissima città toscana, che ha 34 mila
abitanti!!!), è mortificante. E sarebbe davvero scandaloso accettare
supinamente il fatto che, ridotta Messina a Direzione di scalo portuale, le
sorti di porzioni cruciali per il nostro territorio, come la Zona falcata,
vengano decise ad Augusta. Ma ci rendiamo conto di quanto sta accadendo?
Vogliamo rassegnarci o lottare fino alla fine? E soprattutto, ci sono ancora
margini per rimediare all’errore?(l.d.)
Genova è comunque in buona compagnia. L’immobilismo della
politica ha comportato il fallimento del porto di Napoli, da anni gestito
sempre peggio da commissari di tutti i generi, ammiragli in pensione neppure in
grado di far pagare le concessioni a operatori che ovunque non potrebbero
lavorare. A Taranto il porto è sostanzialmente chiuso e senza alcuna reale
prospettiva, ma il governo finanzia una inutile “piastra logistica” da oltre
200 milioni. La parola d’ordine è commissariamento.
E dove non si può, come nel
caso di Ravenna, il ministro Delrio s’inventa l’escamotage di una “cabina di
regia” per sbloccare il piano di sviluppo e individuare soluzioni che sono già
ben conosciute da anni. Anche perché, poco più a nord, l’attivissimo Paolo
Costa continua a proporre il suo improbabile terminal offshore al largo di
Venezia.
Mentre la governatrice Debora Serracchiani riesuma il progetto di un
terminal container a Monfalcone, naufragato solo pochi anni fa. E intanto la
lobby meridionalista che fa capo a Delrio guarda a Tunisi e non a Monaco. Un
delirio.
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