IL PORTO FRANCO DI TRIESTE PIACE A MITTELEUROPA E CINA. L’ITALIA È ALTROVE
10/05/2017
Lo scalo gode, unico in Europa, di
completa extraterritorialità doganale. Lavora al 90% con l’estero ed è
collegato via treno all’Europa centrale. Smista il 40% del fabbisogno
petrolifero della Germania e il 90% dell’Austria. E interessa a Pechino. Roma
latita.
di Paolo Deganutti
1. Lo status di porto franco
internazionale dello scalo marittimo di Trieste è più noto
all’estero che in Italia. Fondato dall’imperatore Carlo VI nel 1719, il porto
di Trieste si è sviluppato, per merito della figlia Maria Teresa d’Austria,
sino a divenire il porto dell’impero austroungarico, che all’epoca
rappresentava il più grande mercato unificato europeo.
A seguito del Trattato di pace del 1947,
il porto di Trieste ha conservato le sue peculiarità e i vantaggi dell’impianto normativo
derivanti dalla legislazione speciale sia doganale sia fiscale.
Il porto franco si articola in più punti
franchi, alcuni di nuova istituzione, come quello all’autoporto di Fernetti.
Tali punti franchi sono extraterritoriali doganalmente rispetto sia all’Italia
sia all’Unione Europea.
Il funzionamento del porto franco
internazionale di Trieste, un unicum in Europa, è regolato
dall’allegato VIII al Trattato di pace 1. Il Memorandum di Londra del 1954, con cui venne affidata al governo
italiano l’amministrazione della Zona A del Territorio Libero di Trieste
istituito dall’articolo 21 del Trattato di pace, sancisce l’obbligo di
mantenere il porto franco a Trieste «in general accordance» con le
disposizioni degli articoli da 1 a 20 dell’allegato VIII 2.
Tale situazione non fu modificata dal
Trattato di Osimo del 1975, che prevedeva inoltre l’istituzione di una zona
franca a cavallo dei confini, mai realizzata ma tuttora esistente come
possibilità giuridica. L’attuale efficacia degli articoli dall’1 al 20
dell’allegato VIII è stata ribadita da numerose sentenze, come quella recente
del Tar del Friuli-Venezia Giulia n. 400 del 15/7/2013.
Anche la legge sulla portualità n. 84 del
1994, all’articolo 6, comma 12, fa salve le prerogative del porto franco di Trieste e impegna il
governo a emettere un decreto per stabilire «l’organizzazione amministrativa
per la gestione di detti punti franchi», che a 23 anni di distanza non si è
ancora materializzato, lasciando l’operatività alla consuetudine. Solo lo
scorso dicembre è stata annunciata la ripresa dell’iter di promulgazione.
Un’altra legge non attuata è stata la 19
del 1991, che con l’articolo 3 istituiva il Centro finanziario offshore insediato nel punto franco Nord di Porto
Vecchio, evidenziando la possibilità di utilizzo dell’extraterritorialità
doganale per attività finanziarie e di servizi. Non può sfuggire l’importanza
che avrebbe un centro di questo genere ora, in tempi di Brexit e di interesse
delle istituzioni finanziarie ad avere sedi nell’Ue a condizioni agevolate.
Il porto di Trieste lavora al 90% con
l’estero, essendo un gateway dei traffici da e per l’Europa
centrale e
orientale che utilizza largamente le ferrovie, grazie anche ai vecchi
collegamenti ereditati dalle ferrovie austriache e ai vettori europei che vi
operano. Confrontato con i porti italiani, nel 2016 è al primo posto con 59,2
milioni di tonnellate, di cui circa il 70% è costituito da petrolio. E ha anche
il primato del traffico ferroviario, con 7.631 treni standard, avendo
movimentato 1,2 milioni di teu fra container e semirimorchi. A paragone degli
altri porti europei, nel 2016 è al 13° posto 3.
2. Dopo il 1918 Trieste si è
trovata isolata dal suo hinterland storico e dopo il 1945 era a
ridosso della cortina di ferro: malgrado ciò il suo porto ha mantenuto la
caratteristica di scalo prevalentemente europeo.
In un secolo la sua integrazione col
mercato italiano non è mai avvenuta: solo il 10% delle merci in transito
è per l’Italia. Le speciali caratteristiche del porto franco di Trieste sono
descritte sul sito dell’Autorità portuale di Trieste 4. Oltre a essere
utilizzate da operatori logistici e dello shipping, se ne avvalgono
anche grandi aziende come la Saipem, che gestisce una base in procinto di
diventare polo per la robotica subacquea di rango mondiale, dove si assemblano
e testano i macchinari ad alta tecnologia per le perforazioni e le manutenzioni
sottomarine del settore oil&gas. Trieste, dove Josef Ressel ha inventato e
sperimentato l’elica marina nel 1829, rivoluzionando la navigazione di
superficie e rendendo possibile quella subacquea, sta così diventando
nuovamente un polo di riferimento mondiale per l’innovazione tecnologica legata
al mare.
Il porto franco serve anche per la
«Borsa commodities» e per le attività finanziarie legate
ai metalli e alle materie prime, tra cui il caffè – ad esempio dalla Genoa
Metal Terminal, situata accanto alla Saipem nel Porto Vecchio.
Il regime di porto franco è utilizzato
inoltre dall’oleodotto transalpino Tal/Siot che da cinquant’anni pompa petrolio
greggio dal punto franco oli minerali fino a Ingolstadt, sulle rive del
Danubio, fornendo il 40% del fabbisogno petrolifero della Germania (il
100% della Baviera e del Baden-Württemberg), il 90% dell’Austria e oltre
il 30% della Repubblica Ceca.
Recentemente è emersa l’intenzione di
utilizzare nuovamente e massicciamente il porto franco anche per attività produttive di
trasformazione industriale delle merci, di servizi e finanziarie.
Infatti l’allegato VIII prevede
esplicitamente la possibilità di sfruttare l’extraterritorialità doganale a fini manifatturieri (art. 7), così
come stabilisce l’impossibilità di esigere tasse sganciate dal reale valore dei
servizi offerti (art. 9) – di questo ha dovuto tener conto, almeno in parte, il
nuovo «disciplinare doganale» emanato lo scorso dicembre. Va notata poi la
convenienza di far arrivare pellami, trasformarli in scarpe o accessori che
possono godere del marchio made in Italy e inviarli a
destinazione, tutto in regime di extraterritorialità doganale e quindi di
esenzione Iva, dazi eccetera.
È inoltre possibile far arrivare nei punti
franchi extradoganali materie prime altrimenti gravate da pesanti dazi,
trasformarle in oggetti made in Europe e quindi importabili
sui mercati europei a prezzi competitivi, creando occupazione qualificata
nell’ambito del porto franco.
In marzo è stato raggiunto un accordo
strategico tra Area di ricerca di Trieste 5 e Autorità portuale allo scopo di
utilizzare i punti franchi per insediamenti produttivi ad alta tecnologia. È
già operativa Freeway Trieste che, grazie al coinvolgimento della Samer &
Co Shipping, prevede entro l’anno il primo insediamento industriale.
Questo modo di utilizzare il porto franco
può risolvere il problema della grave deindustrializzazione che ha subìto Trieste, dove solo il
9% del pil deriva da attività manifatturiere, e rappresenta un forte incentivo
al ritorno di imprese che avevano delocalizzato.
3. Tali potenzialità del porto
franco di Trieste ben si sposano con i rapidi cambiamenti geopolitici in
corso, che stanno esaltando l’importanza del Mediterraneo e di cui le nuove
vie della seta promosse
da Pechino sono un elemento particolarmente evidente. La Cina ha mostrato il
suo interesse per il mercato europeo che auspica unito e con regole doganali e
fiscali semplici e omogenee: in attesa che questo ideale si realizzi, ha più
volte indicato la sua preferenza per zone franche di libero scambio, dove poter
anche produrre merce etichettata Ue. Il porto franco di Trieste
consentirebbe tutto questo. Inoltre gode di una grande accessibilità nautica,
con i fondali naturali più profondi del Mediterraneo (18 metri), che consentono
l’attracco a ogni tipo di nave, compresi i giganti che, grazie al raddoppio del
Canale di Suez, possono raggiungere l’Alto Adriatico. Invece il progetto di
porto offshore a 8 miglia al largo di Venezia, per ovviare ai
bassi fondali, sembra ormai abbandonato per i costi stratosferici.
Gli operatori cinesi avevano pensato anche
al Porto di Taranto come hub mediterraneo, ma le carenze infrastrutturali e
ferroviarie insieme all’inerzia dei decisori politici li hanno indotti a
puntare sul Pireo (Atene), da cui hanno progettato un collegamento ferroviario
veloce con Budapest già in realizzazione ma esposto all’instabilità balcanica –
e ora anche oggetto di contestazioni da parte dell’Ue. L’ambasciatore tedesco a
Pechino, Michael Clauss, poco diplomaticamente ha ammesso che Berlino vede
l’espansione cinese nell’Europa orientale, ferrovia inclusa, come
«incompatibile con l’impegno a creare un’Ue forte e unita». Un segnale che i
Balcani sono zona di influenza tedesca, come presumibilmente verrà ribadito nel
summit del prossimo 12 luglio a Trieste dedicato ai Balcani occidentali
coinvolti nel cosiddetto «processo di Berlino», che ne riguarda
l’infrastrutturazione.
Trieste, al contrario di Taranto e anche
del Pireo, ha già una buona rete di collegamenti
ferroviari con
l’entroterra europeo grazie a treni diretti e frequenti su percorrenza
internazionale (Austria, Germania, Lussemburgo, Ungheria, Repubblica Ceca,
Slovacchia), oltre alla storia e alla tradizione di rapporti con la
Mitteleuropa. Recentemente questa rete è stata estesa fino a Kiel, porto
sul Baltico all’estremo Nord della Germania. Questo grazie alla collaborazione
con gli armatori turchi, che hanno puntato sul porto franco di Trieste per
superare problemi di contingentamento, facendone il capolinea europeo
dell’autostrada del mare con la Turchia.
Vi è poi un progetto ferroviario
internazionale che pone Trieste, insieme a Vienna, in una posizione
strategica: la Breitspur Planungsgesellschaft 6, con l’accordo
fra ferrovie statali austriache, russe, slovacche e ucraine per superare la
differenza di scartamento tra ferrovie russe ed europee e costruire un corridoio ferroviario continuo e
integrato dall’Europa centrale alla Russia fino alla Cina. Il progetto prevede l’affiancamento di
binari a scartamento diverso da Bratislava a Vienna, dotata di un grande porto
fluviale e così destinata a diventare uno strategico perno logistico
intermodale. Perno collegato già ora, e in un futuro prossimo in modo ancor più
efficiente attraverso il tunnel di Semmering in costruzione, a Trieste via
Tarvisio.
Trieste è collegata a Vienna anche via
Lubiana con lo storico percorso della Ferrovia Meridionale (Südbahn). È naturale pensare a
Trieste, nata come porto di Vienna, come sbocco sul Mediterraneo di questi
collegamenti ferroviari che chiudono il circuito della Belt and Road Initiative
(Bri), le vie della seta promosse da Pechino.
La Bri è una «cintura» e va notato che il
traffico ferroviario è conveniente solo se bilanciato, ovvero se i treni ritornano con un nuovo
carico, mentre questo bilanciamento è più facile da ottenere nel traffico
marittimo. A tal fine la Bri ha bisogno di integrare il traffico terrestre
con quello marittimo. Trieste può legittimamente candidarsi a svolgere il ruolo
di interfaccia fra navi e treni.
Non va sottovalutato però il ruolo di
Capodistria che, unico porto della Slovenia, pur con periodiche tensioni con il
governo di Lubiana, cerca di snellire le operazioni contenendo i costi, portandosi
a operatività di «quasi porto franco». Insieme al minor costo del lavoro e alla
minore tassazione, ciò ne aumenta la competitività. Questo ha portato
Capodistria, praticamente inesistente nel 1954, a superare ampiamente il porto
di Trieste quanto a container e convogli ferroviari, tanto da saturare la linea
ferroviaria di cui è in progetto il potenziamento anche con investimenti
esteri.
È singolare che due porti distanti
solo 6 km di ferrovia e
le cui dimensioni sommate non arrivano nemmeno a quelle di un singolo porto del
Nord Europa siano in aspra concorrenza perché gestiti da due Stati nazionali
ambedue aderenti all’Ue e all’Eurozona. Perciò ha destato interesse la notizia
pubblicata dalla rivista di settore Meditelegraph secondo cui
durante la recente visita istituzionale italiana a Pechino si sarebbe parlato
di unificazione dei due porti sotto la comune governance di
una speciale Agenzia indipendente europea con l’effetto di creare sinergie per
la costituzione di un grande terminal portuale europeo sul Mediterraneo 7.
Tuttavia Trieste possiede una carta di cui
né Capodistria né altri porti europei dispongono: il porto franco, con totale
extraterritorialità doganale riconosciuta anche dall’Ue, impiegabile anche per
attività produttive che coinvolgono l’intero territorio. Infatti il mero
transito di container produce effetti economici relativamente limitati. Il
valore aggiunto e i posti di lavoro si creano soprattutto nel retroporto, con
attività logistiche e con la trasformazione industriale delle merci.
La recente scelta di utilizzo produttivo
dei punti franchi, che
vanno completati con l’istituzione di una no tax area, è il
fortunato risultato della convergenza della spinta di nuovi assetti geopolitici
che pongono il porto franco internazionale di Trieste in una posizione
privilegiata, dell’impegno dei nuovi dirigenti portuali che ne sono
consapevoli 8e di un’opinione cittadina da sempre convinta della
centralità di questo scalo per l’economia del territorio.
Con l’affermarsi di un’Europa a più velocità
si accentuerà l’attrazione del baricentro mitteleuropeo su un porto franco internazionale
che lavora solo in minima parte col mercato interno ed è situato sulla linea di
faglia tra Nord e Sud Europa.
La lentezza burocratica e l’inefficienza
del contesto statuale e amministrativo italiano pongono il problema di una gestione
dinamica e integrata di porto e territorio, in grado di rispondere
tempestivamente alle esigenze dei mercati globali, come avviene per i porti
concorrenti di Brema e Amburgo – città-Stato nella Repubblica Federale Germania
– che ricordano lo status di Trieste, Land autonomo del Litorale austriaco
come Libera Città Imperiale (Reichsunmittelbare Stadt Triest) dal
1382. Autonomia che piacerebbe anche a Capodistria (Koper), visti i forti attriti
con il governo nazionale 9.
Note
1. Il testo del Trattato di Pace del 1947
e degli allegati, goo.gl/dPgsU2
2. Il testo originale del Memorandum di
Londra, goo.gl/7iYBT6
3. Altri dati recenti e slide sul Porto di
Trieste, goo.gl/hnfaaz
4. «Vantaggi operativi, commerciali e
fiscali del regime di punto franco del porto di Trieste», Autorità portuale,
dépliant, goo.gl/KO305t
5. L’Area di ricerca ha per missione di
fornire un collegamento tra la comunità imprenditoriale e le numerose
istituzioni scientifiche di Trieste. Ospita inoltre molte imprese ad alta
tecnologia, goo.gl/zMjYUl
6. Vedi goo.gl/gDoZWD
7. Vedi goo.gl/Etq6WL
8. Intervento del presidente dell’Autorità
portuale Zeno D’Agostino su Rai 3, 21/3/2017, goo.gl/qLc3KW
9. Vedi «Luka Koper sfida il governo sulla
ferrovia», Il Piccolo, 31/3/2017, goo.gl/uyDdVX
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