COME vicepresidente dell’Ancip, l’Associazione
nazionale delle Compagnie portuali, nonché sostenitore del libro “Le
multinazionali del mare” del professor Sergio Bologna (che conosco dalla fine
degli anni ’60) , vorrei fare alcune precisazioni in merito all’articolo
“Schenone: Fermiamo le mega-ships” apparso sul Secolo XIX di martedì 27 giugno.
In primo luogo, la questione delle compagnie portuali.
Sono stato recentemente a Roma presso il MIT, e non mi risulta che il governo
in carica abbia sposato il modello delle Agenzie, anche perché nei diversi
porti dove si dice siano funzionanti, questo non corrisponde a verità. A Gioia
Tauro, ad esempio, l’Agenzia 17 è formata da 400 ex dipendenti del terminal;
non esisteva alcun articolo 17, ma in compenso molti 16. A Taranto, una analoga
Agenzia 17 comprende oltre 600 persone assunte con criteri tutti da motivare
visto che non esiste di fatto il terminalista, ma c’è una Compagnia articolo
17.
Questi due porti sono stati inquadrati in una
situazione di emergenza per la quale l’intervento del governo, valido tre anni
con fondi pubblici, va letto come un sostegno contro la disoccupazione. Altro
discorso è quello di Trieste: l’Agenzia è partecipata dall’Autorità di Sistema,
dall’articolo 17 e dai terminalisti. Le Compagnie di Genova e Savona già tre
anni fa, in un convegno a Palazzo San Giorgio, fecero una proposta di
un’Agenzia sul modello di Anversa: fra i relatori, in quell’occasione, vi erano
il professor Bologna e il segretario generale del porto di Bari Mario Sommariva
che ha fatto tesoro di quelle proposte e le ha trasferite nell’attuale Agenzia
di Trieste, della cui Authority è ora segretario generale. L’Agenzia è
partecipata dai privati e non è solo a carico del contributo pubblico.
Brevemente, l’ultimo punto: pensare che l’Italia possa
fare come gli Usa nello stoppare il gigantismo navale somiglia molto all’idea
biblica del cammello nella cruna dell’ago: sarebbe una maniera per uscire
definitivamente dallo scacchiere mondiale del grande shipping.
*L’autore è console della compagnia Pietro Chiesa del
porto di Genova
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