sabato 19 agosto 2017

IL REGISTA VIRZI' E L'ACCIAIERIA DI PIOMBINO

Virzì: "Quando ci girai il film passai un giorno a ripulirmi"

IL REGISTA REALIZZÒ 

"LA BELLA VITA" 

NELL'ACCIAIERIA


«Le madri una volta dicevano: "Piglialo bimba, è di Magona", che era una delle acciaierie di Piombino. Voleva dire: sposati un operaio, è una sicurezza. Era un orgoglio un marito con un posto in fabbrica» racconta Paolo Virzì, che ambientò il suo pluripremiato primo film, La bella vita, a Piombino. 

La storia d'amore tra Massimo Ghini e Sabrina Ferilli, sposata con l'operaio Claudio Bigagli che perde il lavoro in acciaieria, si sviluppa sullo sfondo della città- fabbrica.

Quindici anni fa come fu l'impatto con Piombino?
«Nel 1992 era già iniziato il processo inesorabile di ridimensionamento dell'acciaieria e dell'occupazione. Piombino era un ridente antico borgo sul mare medioevale diventato negli anni una città- fabbrica».


Ora potrebbe riaprire l ‘altoforno.
«Dopo aver girato nell'altoforno ci abbiamo messo un giorno per toglierci di dosso quella fuliggine. La colata di duemila gradi fa impressione. È un lavoro che ha una sua durezza ma che ha forgiato una generazione di operai considerati i più bravi: "Siamo quelli dell'Ilva di Piombino", dicevano».

E oggi?
«Non ho idea se tornerà quella stagione, ma non credo, è cambiato tutto. Quella che era una realtà tragica ha generato anche bellezza. È difficile ritrovare quella Piombino, anche se è nota la grande capacità di lavoro dei piombinesi... A differenza dei livornesi, come me, adorabili fannulloni».

Come si conciliano benessere economico e qualità dell'aria?
«Questo resta il nodo. Sulla pelle di tutti si è consumata la tragedia: la qualità della vita legata al posto fisso, ma il prezzo era l'aria irrespirabile. Il lavoro in acciaieria è veramente duro, ci sono attività industriali meno infernali».

Nel finale del suo film oltre le ciminiere si vedeva il mare, l'idea di un'altra vita possibile.
«Era la fine di un capitolo, raccontavo come stessero cambiando gli operai, come avessero perso l'orgoglio di far parte di una realtà industriale e di una città dove pure si formavano dirigenti sindacali. Non dimentichiamoci che per le polveri non si potevano mettere i panni ad asciugare».

Ma il piano B, puntare sul territorio, è poi riuscito?

«Quello che avevamo immaginato per gioco nel film, mettersi in proprio, andando al di là della pineta, era una premonizione. La zona a sud dell'acciaieria, i nuovi stabilimenti balneari, il cibo, l'accoglienza poteva essere l'alternativa: il territorio faceva sperare in un destino diverso. La verità è che anche nella gastronomia ci sono luci e ombre. La sicurezza del lavoro non c'è più, tutto è diventato più fragile».

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