IL REGISTA REALIZZÒ
"LA BELLA VITA"
NELL'ACCIAIERIA
«Le madri una volta dicevano: "Piglialo bimba, è di
Magona", che era una delle acciaierie di Piombino. Voleva dire: sposati un
operaio, è una sicurezza. Era un orgoglio un marito con un posto in fabbrica»
racconta Paolo Virzì, che ambientò il suo pluripremiato primo film, La bella vita, a Piombino.
La storia d'amore tra Massimo
Ghini e Sabrina Ferilli, sposata con l'operaio Claudio Bigagli che perde il
lavoro in acciaieria, si sviluppa sullo sfondo della città- fabbrica.
Quindici
anni fa come fu l'impatto con Piombino?
«Nel 1992 era già iniziato il processo inesorabile di
ridimensionamento dell'acciaieria e dell'occupazione. Piombino era un ridente
antico borgo sul mare medioevale diventato negli anni una città- fabbrica».
Ora
potrebbe riaprire l ‘altoforno.
«Dopo aver girato nell'altoforno ci abbiamo messo un giorno
per toglierci di dosso quella fuliggine. La colata di duemila gradi fa
impressione. È un lavoro che ha una sua durezza ma che ha forgiato una
generazione di operai considerati i più bravi: "Siamo quelli dell'Ilva di
Piombino", dicevano».
E oggi?
«Non ho idea se tornerà quella stagione, ma non credo, è
cambiato tutto. Quella che era una realtà tragica ha generato anche bellezza. È
difficile ritrovare quella Piombino, anche se è nota la grande capacità di
lavoro dei piombinesi... A differenza dei livornesi, come me, adorabili
fannulloni».
Come si
conciliano benessere economico e qualità dell'aria?
«Questo resta il nodo. Sulla pelle di tutti si è consumata la
tragedia: la qualità della vita legata al posto fisso, ma il prezzo era l'aria
irrespirabile. Il lavoro in acciaieria è veramente duro, ci sono attività
industriali meno infernali».
Nel finale
del suo film oltre le ciminiere si vedeva il mare, l'idea di un'altra vita
possibile.
«Era la fine di un capitolo, raccontavo come stessero
cambiando gli operai, come avessero perso l'orgoglio di far parte di una realtà
industriale e di una città dove pure si formavano dirigenti sindacali. Non
dimentichiamoci che per le polveri non si potevano mettere i panni ad
asciugare».
Ma il piano
B, puntare sul territorio, è poi riuscito?
«Quello che avevamo immaginato per gioco nel film, mettersi
in proprio, andando al di là della pineta, era una premonizione. La zona a sud
dell'acciaieria, i nuovi stabilimenti balneari, il cibo, l'accoglienza poteva
essere l'alternativa: il territorio faceva sperare in un destino diverso. La
verità è che anche nella gastronomia ci sono luci e ombre. La sicurezza del
lavoro non c'è più, tutto è diventato più fragile».
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