mercoledì 22 aprile 2015

LE PRIVATIZZAZIONI SONO VERE ? A PROPOSITO DI SDEMANIALIZZAZIONE (2)

Per comprendere i problemi è bene guardare oltre i confini della "provinciale" Trieste dove il dibattito si esaurisce in alcune affermazioni generiche e nella maggior parte dei casi si limitano a pura propaganda, " reclame " o pubblicità.

L'occasione ci viene data da due articoli pubblicati ieri su Affari & Finanza supplemento economico di Repubblica.

Il secondo articolo che vi proponiamo ci racconta cosa sta succedendo in Italia con la cosiddetta privatizzazione di beni demaniali, con le caserme dismesse. 

Quali sono stati finora i vantaggi per gli enti locali da queste operazioni ?


Ciò che ci interessa sottolineare di questo articolo non è la bontà o meno delle
privatizzazioni, se siano giuste o sbagliate, ma il giornalista in questione per argomentare la sua tesi che le privatizzazioni non sono " fatte bene " ci da due giudizi a partire dai dati di fatto. Giudizi che sono importanti da tener presente quando si valutano le dichiarazioni e le potenzialità contenute nelle affermazioni dei politici locali.

1) Se partiamo dal primo punto, dobbiamo concludere che finora la campagna di privatizzazioni è stata un insuccesso.

2) Se guardiamo agli immobili, poi, per ora sembra che i più assidui compratori delle caserme della Difesa siano Regioni, Province e Comuni (Def 2015, pagina 132). Se in via eccezionale è possibile che alcune imprese pubbliche passino un periodo di purgatorio con Cdp prima di essere immesse sul mercato, la sensazione è che il ricorso alla Cassa (e ai suoi figli) sia massiccio. 


Privatizzazioni vere non partite di giro
Alessandro De Nicola

Mentre il governo si balocca col tesoretto, si allunga sull’Europa l’ombra cupa della crisi greca. Il governo ellenico, che sembra in preda ad una dionisiaca cupio dissolvi, slegata prima dalla logica e poi dalla realtà, potrebbe portare il suo paese sull’orlo del baratro e poi farlo cascare dentro. 

A quel punto, nonostante l’Europa abbia migliorato i suoi meccanismi istituzionali per affrontare le crisi finanziarie, sarebbe questione di tempo prima che i mercati cominciassero a bersagliare il prossimo anello debole. 

E, se le istituzioni europee si sono rafforzate, non altrettanto si può dire dei debiti pubblici che hanno continuato a peggiorare. Il debito peggiore rimane quello italiano e finché dura la bonaccia di tassi e spread bassi sarebbe bene che il governo facesse del suo meglio ridurlo. 

Le troppo a lungo rimandate privatizzazioni acquistano un’importanza non indifferente nei piani dell’esecutivo. Ma attenzione: la vendita di beni e aziende pubbliche non è finalizzata solo alla riduzione del debito ma anche, dice il Def 2015, a “promuovere la competitività del sistema produttivo e lo sviluppo del mercato dei capitali”. 

Se partiamo dal primo punto, dobbiamo concludere che finora la campagna di privatizzazioni è stata un insuccesso. Sia le previsioni del governo Letta che di quello Renzi sono state disattese. Il ministro Padoan aveva assicurato alla Commissione Ue che i proventi delle alienazioni sarebbero stati pari allo 0,7% del Pil sia nel 2014 che negli anni successivi. Ebbene, nel 2014 ci si è attestati sullo 0,3%, nel 2015 si prevede lo 0,4% , poi lo 0,5 nel 2016 e nel 2017 e 0,3 nel 2018. Le percentuali da zero virgola non ingannino. Se prendiamo in considerazione il quinquennio, sono 25 miliardi in meno. Inoltre, benché sia con la legge di stabilità del 2014 che con quella del 2015 siano state introdotte norme dirette a razionalizzare e a incentivare la vendita delle società partecipate dagli enti locali, ci sono pochi segnali che stia accadendo qualcosa di significativo e l’annuncio più importante sinora è stato il probabile ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di A2A. 

Il che introduce l’ulteriore variabile della privatizzazione attraverso un passaggio di mano a Cdp o ai fondi di investimento da essa controllati (se la quota del Tesoro in St Microelectronics passerà al Fondo Strategico Italiano affluiranno nelle casse dello Stato circa 800 milioni) causando formalmente l’uscita dal perimetro dello Stato di un’azienda, anche se in realtà il governo ne mantiene indirettamente il controllo. 

Se guardiamo agli immobili, poi, per ora sembra che i più assidui compratori delle caserme della Difesa siano Regioni, Province e Comuni (Def 2015, pagina 132). Se in via eccezionale è possibile che alcune imprese pubbliche passino un periodo di purgatorio con Cdp prima di essere immesse sul mercato, la sensazione è che il ricorso alla Cassa (e ai suoi figli) sia massiccio. 

Diceva Flaiano: in Italia nulla è più stabile del provvisorio. Questo modo di procedere introduce all’altro obiettivo delle privatizzazioni: “Promuovere la competitività e lo sviluppo dei mercati dei capitali”. 

Ma se l’ingresso di capitale privato si riduce a una partita di giro, si perde uno dei benefici del ricambio degli assetti proprietari, ossia la diffusione della conoscenza. L’ingresso di nuovi soci di maggioranza fa sì che si creino sinergie, che i migliori processi e tecnologie dell’acquirente si trasmettano al compratore e viceversa, insomma che aumenti la produttività del sistema: per quanto bravi siano, Fondi e Cdp non lo possono assicurare. 

Se le privatizzazioni significano sviluppo dei mercati dei capitali, ciò si ottiene assai meno se programmaticamente le società che si aprono al pubblico devono rimanere in mano allo Stato. Ferrovie, StM, Poste, Enav, RaiWay, Fincantieri, Sace: tutte le future o più recenti vendite di partecipazioni da parte dello Stato non prevedono esplicitamente, nemmeno in un futuro lontano, la possibilità di un’uscita completa della mano pubblica e ben che vada si resta sul vago. 

La conseguenza è di deprimere il valore di mercato dell’impresa e di creare un pericoloso intreccio di interessi tra Leviatano e azionisti di minoranza, pronti a combattere insieme per mantenere le eventuali posizioni monopolistiche delle società. 

I soci privati, non potendo contare né su capital gain derivanti da offerte di acquisto da parte di terzi (vedi RaiWay), né su prospettive di comando, faranno di tutto per mantenere i dividendi alti e sfruttare le rendite di posizione. 

Privatizzazioni sbocconcellate e senza una chiara prospettiva porteranno forse un po’ di denaro nelle esangui casse dello Stato, magari introdurranno la disciplina dei mercati sulla governance, ma rischiano di essere l’ennesima occasione perduta del Belpaese.


(20 aprile 2015)  AFFARI & FINANZA



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